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Intervista a BRUNO BOLFO di Livia Savorelli

Indubbiamente la forte espansione del digitale – nei duri mesi dell’isolamento a partire dal primo lockdown e, successivamente, con la chiusura dei luoghi della cultura – è stato un indispensabile strumento per l’arte e la cultura in generale per dialogare e mantenere il contatto con il proprio pubblico. Molto spesso, però, tutti gli strumenti posti in essere ed attivati si sono rivelati delle semplici trasposizioni su digitale di format la cui fruizione era prevista con altre modalità, rendendo il contenuto non adatto allo strumento di diffusione o, peggio, realizzando piattaforme il cui ingresso risultava così macchinoso, da scoraggiare anche il più volenteroso fruitore.
Delle varie progettualità sviluppate in ambito digitale, una in particolare ha attirato la nostra attenzione. Si tratta di Particle, una nuova realtà internazionale, nata nel 2020 da un’intuizione del giovane imprenditore e collezionista Bruno Bolfo, con il quale abbiamo intessuto un intenso dialogo…

Bruno Bolfo

Particle nasce nel 2020 come progettualità “phygital”, a metà strada tra reale e digitale, in cui è riuscito a coniugare imprenditorialità e vocazione al collezionismo. Con quali presupposti nasce e con quali finalità?
La mia passione per l’arte è nata sui banchi del liceo e, nel tempo, è diventata una vera e propria sana dipendenza. Così forte che mi ha suscitato la voglia di trovare una nuova modalità per far scoprire la meraviglia di questo mondo a un pubblico più ampio e, soprattutto, a tutte quelle comunità che ritengono questa realtà in un certo senso distante e difficile da comprendersi appieno.
La difficoltà principale è stata proprio quella di identificare una metodologia che permettesse di raggiungere un pubblico molto ampio, dall’appassionato a chi non nutre un particolare interesse, coinvolgendolo, incuriosendolo e permettendogli di accedere all’arte in modi diversi, evitando al contempo di semplificare e banalizzare i nostri messaggi.
Si è perciò deciso di sfruttare la tecnologia di ultima generazione disponibile, al fine di creare delle esperienze più immersive di quelle che siamo soliti fare quando andiamo a vedere una mostra, esperienze incentrate su tematiche attuali e costruite intorno all’arte, ma che coinvolgono attivamente altre comunità come quella accademica, scientifica ed economica, facilitando la loro partecipazione e il contatto con l’arte.

MASBEDO, Fragile, 2016. Medium single channel video HD 7‘ 46”. Courtesy MASBEDO & Galleria Sabauda

Il progetto è stato ideato precedentemente allo scoppio della pandemia o successivamente, ed è quindi il risultato delle riflessioni originate in tanti mesi di impossibilità di fruire l’arte in presenza e dalla necessità di esplorare nuove modalità nel digitale per promuovere l’arte e la cultura?
L’idea di Particle è nata in maniera naturale e nel tempo, proprio dalla necessità di voler promuovere la cultura dell’arte contemporanea in un modo diverso avvicinando un pubblico più ampio. Ha quindi visto la sua graduale ideazione già prima dello scoppio della pandemia, durante la quale abbiamo concepito il modello e prodotto la prima esperienza, Fragilità. Ciò ci ha permesso di dimostrare come si possa coinvolgere il pubblico indipendentemente dal fatto che i luoghi di fruizione d’arte – e non solo – siano aperti, e come sia necessario creare delle esperienze nuove e coinvolgenti.

RICCARDO BENASSI, Morestalgia, 2019. Medium LED screen, digital content, steel structure and chain, audio diffusion system- Size 350 cm x 650 cm. Courtesy the artist. Credits Andrea Rossetti

Trovo molto interessante uno dei dichiarati obiettivi di Particle “sviluppare sistemi fluidi di fruizione dell’opera d’arte […] che rendano l’incontro con la cultura contemporanea più accessibile e inclusivo”. Quindi, non un surrogato digitale di contenuti nati con altre finalità ed indirizzati ad una comunicazione tradizionale, ma una nuova modalità di fruizione dell’arte, più esperienziale ed emozionale…
Fin da subito ci siamo convinti che fosse necessario utilizzare la tecnologia, ma in un modo nuovo rispetto a come sta avvenendo: ad esempio, in particolare,  non sono un amante delle attuali 3D viewing room, perché ritengo che si passi più tempo nel cercare di capire come muoversi all’interno dello spazio virtuale, piuttosto che nel fruire dei suoi contenuti, che molto spesso sono poveri in quanto si predilige la forma alla sostanza. Ciò non solo non permette di attrarre un pubblico nuovo e a volte “timido”, ma respinge anche gli amanti dell’arte.
Il nostro obiettivo è rendere la fruizione dell’opera d’arte più coinvolgente, mantenendo però inalterata la sua concezione, sia essa fisica o digitale, ma nel contempo andando a implementarne la fruizione stessa usando le giuste tecnologie e il digitale. Le nostre esperienze vogliono essere altamente immersive, basate su attività e contenuti interattivi che vengono creati ad hoc intorno al pubblico per aumentare il senso di appartenenza alla comunità. Vogliamo smuovere le emozioni delle persone e dare loro un ruolo attivo e protagonista che crea dipendenza. In Fragilità ci sono diversi momenti nei quali è possibile interagire direttamente, come ad esempio poter discutere con Francesco Simeti, uno degli artisti in mostra, avere la possibilità di intervenire nei talk che abbiamo organizzato con ospiti illustri provenienti dalle diverse sfere che hanno partecipato al progetto, come ragionare sulle emozioni che l’arte evoca o confrontarsi con studenti italiani e malesi sulla tematica della fragilità.
Al fine di creare un’esperienza capace di attrarre l’interesse e la partecipazione di pubblici diversi, è fondamentale la scelta della tematica, che possa essa essere trasversale sulle diverse comunità coinvolte, oltre che lo storytelling che andiamo a disegnare unendo in maniera fluida l’arte, protagonista, e le altre sfere.

Anida Yoeu Ali, The Old Cinema, HD Video / Color / 3:08 min / 2014, A project of Studio Revolt; Concept and Performance by Anida Yoeu Ali; Filmed by Masahiro Sugano and Dylan Maddux; Edited by Masahiro Sugano

Le nostre esperienze si combinano di una parte digitale e una phygital che non si escludono, bensì si completano e dialogano. La prima permette di raggiungere un pubblico fisicamente distante, di creare un momento di condivisione tra diverse comunità intorno a tematiche di interesse comune, stimola nel visitatore la voglia di ritornare nell’esperienza anche dopo averla vista, perché questa è in continua evoluzione e si arricchisce di nuovi contenuti grazie al coinvolgimento del pubblico e degli stakeholders, oltre che rimanere sempre disponibile e accessibile, non come una mostra fisica che ha un termine. La dimensione phygital vuole invece portare il visitatore nello spazio fisico, permettendogli di fare un’esperienza diversa da quella solita grazie all’utilizzo del digitale. Un utilizzo corretto della tecnologia permette, infatti, di coinvolgere attivamente il visitatore, di introdurre esperienze nuove e fruire in maniera innovativa di contenuti, fornendo approfondimenti e occasioni di dialogo e confronto. Sfortunatamente non siamo riusciti ad inaugurare la parte phygital di Fragilità a causa delle stringenti misure per il Covid-19 imposte in Malesia, ma stiamo già lavorando sulla seconda esperienza che avrà sicuramente questa dimensione. Abbiamo molte idee incluse AR e coinvolgimento di artisti digitali.
Il nostro obiettivo è anche quello di aiutare le istituzioni artistiche e i brand a coinvolgere maggiormente il pubblico, promuovendo l’arte e i valori attraverso le diverse esperienze e sistemi fluidi di fruizione dell’arte che possiamo creare.

Wong Chee Meng, 13 Safe and Sound / Acrylic on canvas / 152.5cm x 107.5cm / 2020
13 Safe and Sound / As seen through red lenses and blue lenses / 2020
from the series Good Days Will Come

Dal 10 marzo scorso è accessibile sulla piattaforma, il primo progetto espositivo ideato da particle – Fragilità – accessibile a questo link: www.particle.art/fragilita
Il lancio del progetto, se non fosse stato per il perdurare dell’emergenza sanitaria, sarebbe dovuto essere in concomitanza con una mostra in Malesia, a Kuala Lumpur. Il tema, quando mai attuale, rimanda alla innegabile fragilità della condizione umana e del sistema civile, resa ancora più evidente dalla pandemia da Covid-19, ma ne supera l’accezione negativa riportando l’accento sul valore costruttivo e di crescita ad esso connesso.
Come sono stati ideati gli approfondimenti multimediali e come avete intessuto il dialogo tra curatori, artisti, sistema dell’arte, mondo degli studenti universitari, istituzioni estere e aziende italiane coinvolte? 
Al fine di creare un’esperienza che vedesse il reale coinvolgimento attivo di tutti gli stakeholder e che evitasse di ricadere in una banale partecipazione passiva, come spesso avviene, ci siamo focalizzati nella creazione di uno storytelling incentrato sull’arte ma che coinvolgesse in maniera fluida tutte le altre comunità. Ciò ci ha portato a lavorare a stretto contatto con i curatori e gli artisti, disegnando un’esperienza molto equilibrata che partisse dall’arte e declinasse il tema della fragilità all’interno delle altre sfere, dando una chiave di lettura diversa e capace di attrarre e stimolare il pubblico.
È stato molto bello vedere come tutti gli stakeholder abbiano attivamente partecipato all’esperienza, alla creazione dei contenuti, ai talk e ai momenti di confronto che sono stati organizzati, e come questo abbia creato degli scambi culturali tra di essi sempre partendo dall’arte.
L’Ambasciata Italiana in Malesia ha supportato il progetto partecipando attivamente, il che ci ha permesso di creare legami tra l’Italia e la Malesia: gli artisti sono stati coinvolti attivamente e messi in contatto con il pubblico; i curatori hanno avuto un ruolo molto importante nel progetto e nel dare una connotazione positiva al tema; gli studenti della Bocconi, UniKL e Sunway University hanno dialogato su diversi aspetti relativi alla fragilità all’interno di eventi curati da Culturit; Magazzino Italian Art ha contribuito alle discussioni; mentre ICA Milano ha curato un ciclo di talk che hanno visto la partecipazione di importanti esponenti delle diverse comunità e la possibilità del pubblico di partecipare direttamente. Il tutto è stato anche possibile trattando l’aspetto psicologico ed emotivo con l’aiuto di Luca Argenton e Digital Attitude. Siamo molto contenti del risultato ottenuto.
Un esempio di partecipazione attiva arriva da Venini, storico gruppo italiano nella manifattura del vetro che quest’anno compie 100 anni, che ha visto il coinvolgimento diretto della sua presidentessa Silvia Damiani e altre persone del Gruppo, come un maestro vetraio e la direttrice artistica. Con loro abbiamo affrontato il tema della fragilità sottolineando i valori distintivi del brand e riferendoci a momenti fragili, come quello caratterizzato dal Covid-19, che una società si può trovare ad affrontare, e come sia importante reagire creando resilienza. Ci siamo riferiti anche al vetro, elemento che ha caratterizzato il concepimento dell’opera di Maria Rapicavoli nel luglio 2020 nonché materiale fragile per eccellenza che Venini riesce a gestire con estremo successo creando vere e proprie opere d’arte. Queste opere d’arte sono concepite grazie alle forti collaborazioni che l’azienda ha sempre stretto e continua a fare con noti designer e artisti, mostrando come sia importante unire l’arte alla realtà aziendale. Inoltre, abbiamo creato dei momenti di scambio culturale come il confronto avvenuto tra Silvia Damiani e Yong Yoon Li, proprietario del gruppo malese Royal Selangor International.

Come sono stati selezionati dai curatori – Alberto Salvadori, Luigi Fassi e Lim Wei Ling – gli otto artisti (quattro italiani e quattro malesi) intorno ai quali si snoda il progetto?
Come gli artisti hanno contributo alla definizione dei contenuti, che si snodano per ciascuno attraverso diverse modalità di approccio, con il risultato di offrire una panoramica diversificata e molto personale, attraverso l’utilizzo di video, podcast, narrazioni vocali e la possibilità da parte dello spettatore di interagire secondo diverse modalità?
Abbiamo chiesto ad Alberto Salvadori, a Luigi Fassi e alla guest curator Lim Wei-Ling di selezionare rispettivamente degli artisti italiani e malesi che potessero dialogare tra di loro affrontando il tema della fragilità nella sua accezione positiva e, nello specifico, che fossero riconducibili a quattro aree: Fragility Builds Solidity, Fragility Cultivates New Paths, Fragility Is the Ebb and Flow of Creativity e Fragility Brings Awareness to Daily Life.
Per noi era molto importante poter avere un continuo dialogo con gli artisti e anche che essi fossero attivamente coinvolti nella definizione di un percorso fluido ed equilibrato, che vedesse la partecipazione degli altri stakeholders partendo dall’arte, nonché nelle attività presenti nell’esperienza e nella generazione dei contenuti. Abbiamo voluto dare un’ampia possibilità di coinvolgimento ai visitatori offrendo diverse attività e contenuti in formati diversi, con l’obiettivo di riuscire ad attrarre un pubblico elevato ed ampio e avvicinarlo all’arte e alla tematica trattata.

Come sono stati ideati tutti i talk che si sono succeduti a supporto della mostra? Un primo bilancio relativo a Fragilità. E un’anticipazione, sulle prossime  iniziative.
Fragilità non è sicuramente un capitolo chiuso per noi di Particle, infatti, miriamo sia a rendere questa singola esperienza “itinerante” in altri Paesi andando a creare nuovi rapporti culturali, coinvolgendo nuovi stakeholder e artisti locali che possano dialogare con i quattro artisti italiani, sia ad affrontare il tema della fragilità sotto altri aspetti, con altri protagonisti, accrescendo il numero delle particelle nell’orbita della Fragilità.
Oltre a questo progetto stiamo già lavorando sulla prossima esperienza che sarà sul tema della sostenibilità e che andrà live nell’ultimo quadrimestre di questo anno. Dal lato artistico, prevediamo il coinvolgimento di designer e artisti digitali, mentre vi sarà sempre la partecipazione della sfera accademica, governativa ed economica. Siamo inoltre in dialogo con alcune istituzioni per cercare di creare esperienze innovative e immersive capaci di attrarre un pubblico più ampio nonché di promuovere in un nuovo modo l’arte e le tematiche che affrontano.

FRAGILITÀ
a cura di Alberto Salvadori, Luigi Fassi e Lim Wei Ling 
 
Progetto espositivo phygital ideato e prodotto da particle
in collaborazione con Fondazione ICA, Milano

Info: www.particle.art/fragilita

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